il problema dei tre corpi

IL PROBLEMA DEI TRE CORPI | Recensione della serie Netflix

Fin dove la macchina pubblicitaria può spingersi per suscitare curiosità, attirare le masse, far parlare di sé? Netflix, su questo, si propone come apripista con trovate discutibili. Si guardi alla campagna di “guerrilla marketing” per l’uscita della serie tv Il problema dei tre corpi. La piattaforma ha occupato (letteralmente) gli schermi delle stazioni ferroviarie col messaggio “Siete insetti”. L’effetto suscitato era proprio quello voluto: una pubblicità non convenzionale che in molti hanno scambiato per un attacco hacker.

Al di là delle aspettative create ad hoc, la serie non riesce a mantenere le promesse pubblicitarie. Potremmo dire che, nonostante le potenzialità del libro a cui si ispira (il primo romanzo della trilogia fantascientifica dello scrittore cinese Liu Cixin), il progetto degli stessi autori di Games of Thrones si arena su un punto fondamentale: “americanizzare” tutto ciò che non lo è. Rendere sul grande schermo un prodotto letterario comporta spesso due rischi. Il primo è di rappresentare alla lettera la trama dell’autore, mettendo a rischio il coinvolgimento emotivo di chi crea, comunque, un’opera nuova. Il secondo, opposto, è di manipolare così tanti elementi narrativi da rendere la storia qualcosa di completamente altro. 

Ciò sembra accadere in questa versione occidentale, a circa un anno dalla serie cinese Three-Body che riprende in maniera più fedele il primo romanzo della saga. In Il problema dei tre corpi compare, diversamente dal libro, un gruppo di giovani scienziati non cinesi. Cinque ex studenti di Oxford diventano i protagonisti insieme con l’astrofisica Ye Wenjie, donna misteriosa e alquanto discutibile, e l’ufficiale Da Shi, che indaga su alcune morti sospette all’interno della comunità scientifica.

Altro elemento di non poco conto sta nella quasi netta demarcazione fra le due parti della serie. Quasi due capitoli, che, pur mantenendo una loro coerenza, sembrano, in qualche modo, scarsamente collegate fra loro. All’inizio c’è un bell’intreccio di piani narrativi, che creano la giusta suspense, con al centro il problema fisico attorno a cui ruota il romanzo, ossia la difficoltà di prevedere con precisione il movimento di tre corpi celesti all’interno dello stesso sistema solare. Nel susseguirsi di tempi ed epoche diverse, c’è il passato, quale elemento fondante del presente. C’è la realtà aumentata dei videogiochi, che crea infinite possibilità di rinascita. C’è il presente, come ponte fra le esperienze vissute e le molteplici altre che vengono sperimentate. C’è il futuro della Terra nelle vicissitudini dei San-Ti (chiamati Trisolariani nel romanzo originale), disperati dal susseguirsi di ere dell’ordine ed ere del caos.

Poi, risolto l’assunto, diremmo in maniera quasi sbrigativa, lo stile hollywoodiano prende il sopravvento. Il problema dei tre corpi si trasforma in un tentativo, quasi megalomane, di raggiungere quegli alieni, o meglio civiltà a noi parallele, che si sono palesate attraverso una tecnologia all’avanguardia rispetto alla nostra: il casco che molti indossano per giocare e che sarà lo strumento a condurli in una trama che mescola fantascienza e crime.

Il problema dei tre copri è, quindi, una serie Netflix da guardare sicuramente, ma con attenzione. Meglio non farsi abbagliare dagli effetti speciali di un videogioco che è sia finzione (per gli umani) che realtà (per gli alieni), o da progetti fantascientifici che vanno oltre la comprensione umana.

Recensione di Elisa Scaringi

Autore dell'articolo: Francesco Vannutelli