Che dire di Wounds, il primo film statunitense del regista iraniano di base a Londra Babak Anvari? Niente di buono, purtroppo. Dopo essersi fatto notare con i suoi primi due film, in particolare Under the Shadow del 2016, Anvari era pronto al salto negli Stati Uniti con un terzo horror.
Le premesse sembravano niente male: due attori in crescita costante come Armie Hammer e Dakota Johnson; la presentazione nella Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e al Sundance Film Festival; uno spunto non trascurabile tra paranormale, voyeurismo digitale e psicologia.
Wounds invece non riesce in nessun modo a rivelarsi interessante, né come film di genere né come tentativo di dire qualcosa di nuovo.
Will è un barista a New Orleans. Ama il suo lavoro, anche se finisce spesso in risse e situazioni pericolose. Vive con la ragazza, Carrie, alle prese con la tesi, e continua a pensare troppo ad Alicia, amica, forse ex fidanzata, che frequenta il bar in compagnia del suo ragazzo Jeffrey. Una sera, mentre lavora, scoppia una di quelle risse che il film ci fa capire essere abbastanza ordinarie. Eric, un cliente fisso del bar, viene ferito a una guancia. Un gruppo di studenti che era lì a bere si allontana prima dell’arrivo della polizia perdendo un cellulare. Will inizia a ricevere su quel numero messaggi e immagini inquietanti.
Parliamo prima di cosa c’è interessante in Wounds. Anvari, che lo ha anche scritto, sceglie di sovvertire un po’ le regole dell’horror limitandosi a due location principali – il bar e la casa di Will –, senza puntare su luoghi sconosciuti o abbandonati. Il brivido dell’orrore, poi, si sviluppa solo con elementi immateriali e virtuali: sms, foto sul cellulare, siti web. Questa presenza remota e rinchiusa in ambienti familiari degli elementi “di paura” crea una tensione costante ben calibrata.
Le note positive, però, finiscono qui. Wounds non riesce a trovare una forma compiuta. C’è una chiave di lettura forte che Anvari mette sul piatto per far capire che la sua idea di horror è soprattutto simbolica. Tutto quello che succede a Will può essere visto come una metafora del suo alcolismo senza controllo. Il ragazzo fa il barista, beve molto, troppo. Mano a mano che le sue paure avanzano, beve di più e sempre di più perde il controllo. È vero quello che vede o lo vede solo lui?
La sua vita personale viene investita tanto dal bere quanto da questa misteriosa persecuzione telefonica. Questo spunto, che poteva essere interessante e valido, diventa in fretta un puro e semplice pretesto per aggiungere qualche scena in più, per complicare un po’ la trama.
Peccato, perché con un po’ più di attenzione Wounds avrebbe potuto essere un film anche affascinante. Così, invece, nonostante il buon cast e i discreti spunti di partenza, cade nel ridicolo involontario, con un finale sospeso che non lascia nulla, se non la sensazione di aver perso del tempo.