L’UOMO INVISIBILE | Recensione del film di Leigh Whannell

È uscito direttamente in noleggio sulle piattaforme digitali L’uomo invisibile, nuovo adattamento del romanzo di fantascienza del 1897 di H.G. Wells con un inedito punto di vista femminile come motore della trama.

La protagonista infatti è Cecilia, compagna succube di Adrian Griffin, un ottico miliardario maniaco del controllo e violento. Due settimane dopo essere riuscita a scappare dalla villa in cui era tenuta prigioniera, Cecilia riceve la notizia che Adrian si è tolto la vita. Nel momento in cui dovrebbe finalmente sentirsi libera, la donna inizia invece a percepire una presenza che la segue e la osserva. Possibile che Adrian non sia morto?

Doveva essere il secondo film dell’universo cinematografico dei mostri della Universal dopo La mummia. Avrebbe dovuto essere un film ad alto budget, più fedele al romanzo classico, con Johnny Depp protagonista. Invece, L’uomo invisibile è diventato una cosa completamente diversa, e nuova.

Il colossale fallimento di La mummia, nonostante la presenza di Tom Cruise e Russell Crowe, aveva portatola Universal a rivedere in fretta i piani per rimediare alle perdite e, sostanzialmente, ad annullare tutto. L’accantonamento dell’universo cinematografico ha aperto le strade a questa versione inedita alternativa e decisamente più interessante.

Il coinvolgimento della Blumhouse, la casa di produzione di Jason Blum responsabile degli horror di maggior successo degli ultimi anni (da Paranormal Activity alla saga di The Purge), ha trasformato L’uomo invisibile in un film a basso budget dallo spirito indipendente.

Scritto e diretto da Leigh Whannell, ideatore di film come Saw Insidious, la nuova versione del classico di Wells diventa un thriller psicologico teso e contemporaneo. Senza pretendere di diventare un film sociale, L’uomo invisibile rappresenta in modo credibile la violenza fisica e psicologica che molte donne si trovano a subire in ogni angolo del mondo.

La protagonista fugge da una vita di abusi che dall’esterno sembrava perfetta. La megalomania di Griffin diventa, in questa versione cinematografica, un senso di onnipotenza e controllo totale che non gli fa immaginare la possibilità di un rifiuto e lo spinge, addirittura, a fingersi morto pur di ottenere quello che pensa essere suo di diritto.

Senza rivelare altro della trama, L’uomo invisibile riesce a essere sempre credibile, senza mai scivolare – troppo – nel banale. Merito anche della protagonista Elisabeth Moss, già Peggy Olsen di Mad Men e June di Il racconto dell’ancella, attrice che sempre di più si sta costruendo un proprio percorso consapevole e coerente.

Il fallimento dell’universo cinematografico della Universal ha aperto la strada a un film molto più interessante che propone un modo nuovo e originale di confrontarsi con i classici. Vedremo se ci saranno altri sviluppi

(L‘uomo invisibile, di Leigh Whannell, 2020, thriller, 124’)

Autore dell'articolo: moviedigger

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