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ULTRAS | Recensione del film Netflix di Francesco Lettieri

Ultras segna l’inizio della collaborazione tra Netflix e Mediaset che porterà altri 4 titoli italiani sulla piattaforma di streaming nei prossimi mesi.

A dirigere il primo film è Francesco Lettieri, esordiente napoletano già apprezzato regista per la nuova scena musicale nazionale con i videoclip per Calcutta, Carl Brave e Franco 126, Thegiornalisti e, soprattutto, Liberato.

Il rapporto con il cantante misterioso il precedente crea numerosi elementi di continuità tra Ultras e la carriera precedente di Lettieri. Il film, infatti, riprende molte della ambientazioni e delle scelte stilistiche dei videoclip di Liberato, anche autore della colonna sonora del film.

La storia è quella di Sandro, un uomo di mezza età capo degli Apache, un gruppo di tifosi partenopei. Sandro ha il daspo e non può seguire la squadra allo stadio, ma continua a essere il leader del gruppo, anche se alcuni giovani mettono in discussione la sua leadership e approfittano della sua assenza per proporre nuove regole.

Ultras non è un film sul calcio. Non è neanche un film sul tifo, o sulla passione sportiva. È un film sull’appartenenza a un gruppo che diventa più importante di qualsiasi altra cosa, un’adesione che si può paragonare solo al fondamentalismo religioso, o al radicalismo politico. In tutto il film non si vede neanche un fotogramma di calcio giocato, perché il calcio è secondario. E non è un caso che i protagonisti vengano mostrati impegnati a fare altro quando ci sono le partite. Non è importante il campo o il risultato: per gli ultras contano solo gli Apache.

Più che il valore sociologico di queste frange di tifo organizzato, spesso violente, spesso nascondiglio di criminali di vario tipo e farcite di una retorica fascista, a Lettieri sembra interessare lo sguardo antropologico sui vari componenti, chi più o chi meno alla ricerca di un’identità, di un riscatto o di una consolazione da una vita difficile tra le braccia degli Apache.

Peccato però che le ottime intenzioni del regista esordiente si vanificano nella voglia eccessiva di mostrare senza raccontare. Tutto rimane fermo alla superficie, senza mai un’immersione alla ricerca di un qualche tipo di profondità. Così, anche il protagonista Sandro, che pure domina la scena anche quando è assente, rimane bidimensionale, senza una vera coerenza di azioni e intenzioni.

Sulla scrittura prevale sempre la forma. Lettieri ha una identità visiva già ben chiarita dai videoclip, ma nel passaggio al lungometraggio perde un po’ di incisività e riaffiorano in continuazione suggestioni da altri film e registi italiani degli ultimi vent’anni, soprattutto Matteo Garrone. Sarà anche colpa (o merito) di personaggi e ambientazioni ormai abusati dal cinema nazionale dopo l’exploit di Gomorra, ma Ultras non riesce davvero a lasciare il segno e si ferma sempre in superficie.

(Ultras, di Francesco Lettieri, 2020, drammatico, 106’)

Autore dell'articolo: moviedigger

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