All’età di 88 anni, Clint Eastwood si piega ma non si spezza. In Il corriere – The Mule, la sua ultima fatica da regista e attore, racconta la vera storia del novantenne Earl Stone tratta da un articolo di giornale del New York Times. Chi è questo simpatico anziano dai modi gentili e affabili che impariamo a conoscere all’inizio del film? È un floricoltore divorziato dell’Illinois che perde il lavoro di una vita dando così il via ad una storia che ha dell’incredibile. Quasi per caso Earl diventa (all’inizio a sua insaputa) un corriere della droga per un cartello messicano. Non è un lavoro pulito, ma il vecchio pensa di poter guadagnare qualche soldo per aiutare la sua famiglia, pagare il college a sua nipote (Taissa Farmiga) e dare una mano agli amici.
Che cosa fa Earl per tutte le due ore del film? Guida, canta (Willie Nelson, Dean Martin o qualunque canzone stia suonando alla radio) e trasporta a suon di record chili e chili di cocaina che a malapena riesce a nascondere dietro al bagagliaio. Come è riuscito a farlo, vi starete chiedendo. Sappiate che negli Stati Uniti (in particolare) i poliziotti ignorano gli anziani.
Come nel primo film del 2009 diretto da Eastwood, Gran Torino, il cineasta vincitore dell’Oscar (Million Dollar Baby) evita la violenza fisica pura e semplice e si concentra su quella verbale. Anche in questo caso la scelta (non casuale) ricade sul razzismo generazionale, graffiante e pungente, che attira il pubblico del vecchio Clint. Earl si rivolge alle persone afro-americane come “negri” e fa battute offensive nei confronti dei messicani.
Il protagonista/regista percorre un’unica strada ed è quella dell’antieroe che vuole redimersi e fare la cosa giusta per la sua famiglia, fino a quando la legge – nella persona dell’agente della DEA Colin Bates (Bradley Cooper) – e i trafficanti di droga – guidati dal boss del cartello Laton (Andy Garcia) – iniziano a mettersi di mezzo. La bellezza del personaggio (oltre al ghigno) è la naturalezza con la quale non si attiene alle regole giuste o sbagliate che siano: fa soste non programmate per visitare i suoi amici disubbidendo alle leggi non scritte del cartello o cerca di riavvicinarsi alla famiglia per troppi anni trascurata. La bella Dianne Wiest interpreta Mary, la moglie che ha lasciato per andare in giro per gli Stati Uniti (ha visitato 41 stati su 50), mentre Alison Eastwood (occhio al cognome!) è la figlia di Earl che non lo ha mai perdonato per la sua continua assenza (anche al suo matrimonio).
Sono due le scene del film da incorniciare: la scena di sesso a tre in cui è coinvolto un divertito e divertente Clint (per giunta in gran forma) e il confronto generazionale nella tavola calda tra Eastwood e Cooper. Quest’ultimo, nonostante il ruolo marginale, è fondamentale per il legame che instaura con Earl in pochissime ma profondissime battute sul valore della famiglia (bingo!).
Eastwood non è un ingenuo e si rende conto dei confini morali che Earl sta attraversando e oltrepassando, ma non è questo il punto. Sono le deviazioni sulla strada – le fermate lungo il percorso che mostrano un vecchio affrontare coraggiosamente l’unica possibilità di cambiamento della sua vita per sistemare le cose – che rendono questo dramma profondamente personale.