WARFARE – TEMPO DI GUERRA | La recensione del film di Alex Garland e Ray Mendoza

Classificazione: 3 su 5.

Dopo aver esplorato il totale collasso della società americana in Civil War, Alex Garland torna al cinema con Warfare, un nuovo film che affonda questa volta le radici in una storia vera. La pellicola si basa sui ricordi, le testimonianze e le esperienze vissute sul campo da un gruppo di Navy SEAL. Tra questi, era presente anche il co-regista Ray Mendoza, che ha partecipato a una missione ad alto rischio a Ramadi, in Iraq, nel 2006.

In opere come questa, Garland adotta un approccio distintivo: minimizza o persino annulla il contesto narrativo tradizionale per concentrarsi sulla pura sensazione del momento. Elementi come paura, dolore e sangue diventano protagonisti, offrendo allo spettatore un’esperienza super-realistica e visceralmente focalizzata. Questo stile non è un semplice orpello, ma diventa parte integrante della struttura narrativa del film, immergendo il pubblico nell’intensità brutale della guerra.

Durante la produzione di Civil War, il regista Alex Garland ha incontrato Ray Mendoza, un veterano della guerra in Iraq. Mendoza era stato ingaggiato per garantire il massimo realismo nelle sequenze di combattimento del film. Fu in quel contesto che Mendoza condivise un’esperienza personale risalente al novembre 2006: la sua squadra di Navy SEAL, affiancata da due scout iracheni e due marine, rimase intrappolata in una casa a Ramadi a seguito dell’esplosione di un ordigno improvvisato (IED), un evento che causò morti e feriti gravi.

Questa esperienza ha segnato l’inizio di una collaborazione tra Garland e Mendoza per lo sviluppo di una sceneggiatura. Il loro obiettivo era ricostruire meticolosamente i ricordi di Mendoza e dei suoi commilitoni, dando vita a quello che Mendoza ha definito un “documento vivente”. Questo “documento” era destinato in particolare a Elliott Miller, uno dei feriti che non aveva alcun ricordo dell’incidente.

Come specificato nei titoli di coda, il film si propone di essere “il più accurato possibile, per quanto la memoria lo consenta”, cercando di adottare una neutralità quasi documentaristica. Questa scelta si riflette nell’assenza di una colonna sonora intesa a manipolare le emozioni del pubblico e nell’evitare di fornire retroscena commoventi sui soldati, privilegiando invece una rappresentazione distaccata e fedele degli eventi.

Warfare si immerge completamente nel viaggio sensoriale e travolgente della battaglia, offrendo un’esperienza cruda e viscerale. Il film si apre con una scena quasi surreale: soldati visibilmente eccitati che osservano in televisione delle ragazze fare ginnastica. Questo contrasto assurdo è bruscamente interrotto da un taglio improvviso che ci catapulta nel silenzio teso di un’operazione militare notturna.

Una compagnia di Navy SEAL occupa una casa irachena, tenendo prigioniera una famiglia in una stanza. Il cecchino Miller (interpretato da Cosmo Jarvis) scruta il nemico attraverso il mirino del fucile, mentre gli altri soldati, sparsi per la casa, sembrano avvolti in una quiete quasi inquietante, presagio della tempesta imminente.

Improvvisamente, il caos esplode. Siamo avvolti da suoni ovattati e da una vista offuscata dal fumo, testimoni impotenti di chi è rimasto coinvolto nell’esplosione. Un flusso incessante di voci dalle comunicazioni radio, che impartiscono ordini in codice e spesso contraddittori, si scontra con le urla laceranti dei feriti. La telecamera si avvicina ai volti sporchi e sotto shock dei soldati, quasi volesse offrire un aiuto che sa di non poter dare: è la nuda e cruda brutalità della realtà. La battaglia è tutt’altro che finita, con un ulteriore scontro a fuoco da affrontare e feriti da evacuare in un inferno di pallottole e polvere.

Warfare non si tira indietro: ci sbatte in faccia la violenza e la spietatezza del conflitto, in un modo che ricorda le atmosfere tese di Civil War, ma con una prospettiva diversa. Qui non seguiamo lo sguardo distaccato dei fotoreporter, bensì la cruda realtà dei soldati in prima linea, che vivono e subiscono in prima persona le atrocità. Non c’è spazio per voltarsi dall’altra parte o per chiudere gli occhi: il nemico, spesso una minaccia più percepita che visibile, è costantemente presente. Non esistono concetti come giusto o sbagliato, solo l’impellente e primordiale bisogno di sopravvivere.

Questo film è un’opera potente, capace di mettere in scena senza filtri né pregiudizi i ricordi più reconditi dei soldati (tutti bravissimi gli attori impegnati). Ogni riflessione o discussione sulla guerra passa inevitabilmente in secondo piano, sopraffatta dall’urgenza delle immagini. Ciò che resta è una testimonianza impressionante, carica di una tensione palpabile, comprensibile appieno solo da chi ha vissuto l’inferno della guerra. Noi spettatori possiamo solo affidarci alla visione di Garland per cogliere un barlume del mondo terrificante in cui questi uomini si sono trovati davanti.

Il film uscirà al cinema dal 21 agosto distribuito da I Wonder Pictures.

(Warfare – Tempo di guerra, di Ray Mendoza e Alex Garland. 2025, guerra, USA, 95′)