Con Mission: Impossible – The Final Reckoning, la trentennale saga action con protagonista l’instancabile agente dell’IMF Ethan Hunt giunge ai titoli di coda (forse!). Questo ottavo capitolo, che riprende gli eventi a breve distanza dal precedente Dead Reckoning, si presenta come un vero e proprio “atto finale” profondamente drammatico e carico di tensione, richiamando elementi del passato e ponendo Ethan di fronte a sfide che appaiono ancora una volta impossibili.
Se nel precedente capitolo l’introduzione de “L’Entità”, un’intelligenza artificiale divenuta una minaccia globale, poteva apparire forzata, quasi un riflesso delle inquietudini del nostro tempo, in The Final Reckoning questo antagonista digitale acquisisce pienamente i contorni di un super-criminale con un obiettivo terrificante: l’annientamento dell’umanità. La posta in gioco è altissima: l’olocausto nucleare è imminente. Ethan Hunt è l’ultima speranza.
La narrazione di Mission: Impossible – The Final Reckoning ci trascina in una corsa contro il tempo che spazia da Londra al Sudafrica fino alle gelide profondità dell’Artico, seguendo Ethan e la sua squadra composta dai veterani Luther (Ving Rhames) e Benji (Simon Pegg), e dalle nuove leve Grace (Hayley Atwell), Paris (Pom Klementieff) e Degas (Greg Tarzan Davis). A ostacolarli Gabriel (Esai Morales), il braccio destro dell’Entità.
Il film mantiene alti gli standard del franchise con sequenze action adrenaliniche e cariche di tensione, al punto da lasciare lo spettatore esausto per l’incessante suspense che si protrae per quasi tre ore. Il ritmo, inizialmente frenetico e pieno di spiegoni disseminati qua e là per riassumere una storia iniziata nel 1996, si assesta poi in una cavalcata inarrestabile, orchestrata con maestria da Christopher McQuarrie. Il regista, al suo quarto film della saga, dimostra ancora una volta la sua abilità nel bilanciare azione, momenti drammatici e una solida caratterizzazione dei personaggi principali, culminando in due scene altamente spettacolari come quella nel sottomarino affondato.
Il film, purtroppo, si perde nel voler ostinatamente chiudere il cerchio narrativo con insistenti richiami a snodi cruciali e personaggi dei capitoli precedenti. Il ritorno di un personaggio del primo inarrivabile Mission: Impossible di Brian De Palma sottolinea questa decisa intenzione di completare un ciclo. È evidente, tuttavia, che la trama non si presta agevolmente a questo espediente, e alcuni collegamenti appaiono forzati e poco organici. Ma chi siamo noi per sindacare un’opera cinematografica che pone l’intrattenimento come suo principio cardine?
Ancora una volta, il cuore pulsante della saga è Tom Cruise. È innegabile: senza il suo carisma e la sua dedizione, questo franchise non esisterebbe. Sebbene sia universalmente acclamato come lo stuntman più audace del mondo – un sessantenne in splendida forma disposto a rischiare il proprio corpo e la propria vita per offrire al pubblico un’esperienza cinematografica senza pari – raramente si sottolinea la sua notevole profondità drammatica anche in questi film. Cruise non si limita a incarnare un agente segreto abile nell’accettare missioni impossibili; riesce a rendere palpabili le motivazioni complesse di Ethan e del suo team, conferendo loro una credibilità che va ben oltre la semplice azione.
A questo punto sorge spontanea una domanda: The Final Reckoning segna davvero la fine? Benché non spetti a noi dare una risposta definitiva, possiamo dirvi che Tom ha annunciato l’intenzione di continuare a recitare in pellicole action almeno fino agli ottant’anni. Tuttavia, qualora questo dovesse rivelarsi un vero e proprio addio, difficilmente si potrebbe desiderare una conclusione più appagante: un’esperienza elettrizzante, carica di adrenalina e profondamente emozionante.