LA PROVA | La recensione della miniserie Netflix

Recensione di Elisa Scaringi

È di pochi giorni fa la notizia della riapertura di un noto caso di cronaca italiana, il delitto di Chiara Poggi a Garlasco. Dopo 18 anni si parla di DNA e di corrispondenza fra i risultati di laboratorio. Su Netflix c’è una serie tv che parla proprio del ruolo del DNA per sbloccare indagini e risolvere omicidi che rimangono irrisolti per anni.

La prova racconta di un noto caso svedese avvenuto nell’ottobre del 2004. Nella cittadina universitaria di Linköping, un bambino di 8 anni, figlio di un coppia di immigrati, e un’insegnante di 56 vengono uccisi in maniera efferata. Il piccolo viene assassinatomentre si sta recando a scuola, la donna muore nel tentativo di salvarlo dal suo aggressore.

L’agente John Sunding raccoglie per sedici lunghi anni prove e testimonianze. L’archivio che crea è uno dei più nutriti mai esistiti intorno a un delitto per quella che è considerata la seconda indagine più grande della storia svedese moderna, dopo quella sull’uccisione del Primo Ministro Olof Palme, durata per ben 34 anni e chiusa nel 2020 senza alcun esito. 

John segue il caso, sacrificando la famiglia e rinunciando a veder crescere il figlio, nato poco dopo gli omicidi, con uno spirito di totale abnegazione. Uno sforzo che può sembrare eccessivo, alimentato dalla promessa fatta ai familiari delle vittime, ma che nel 2020 ha portato alla luce la verità.

In quell’anno entra in scena Peter Sjölund, un genealogista poco considerato e alquanto fiaccato dalla mancanza di interesse nei confronti della sua materia. La sua specialità è ricostruire l’albero genealogico di una persona tracciandone le informazioni genetiche. A partire dal DNA trovato sulla scena del delitto, Peter riesce a ricomporre la genealogia dell’assassino fino a risalire a un nome. Incrociando i dati puramente empirici riscontrati dal genetista con il DNA prelevato al presunto colpevole, dopo sedici anni di latitanza, viene fuori la verità.

La serie, ispirata al libro The Breakthrough di due giornalisti svedesi, mette in risalto l’unicità di una storia che ha segnato un momento di svolta nelle modalità di indagine della polizia, facendo degli studi genealogici uno strumento fondamentale di ricerca.