Fin dal 1993, anno di uscita di Jurassic Park di Steven Spielberg, Universal Pictures ha capitalizzato al massimo sul fascino dei dinosauri, incassando miliardi di dollari grazie a film, merchandising e parchi a tema. A soli tre anni dalla conclusione della trilogia di Jurassic World, che ha registrato incassi da capogiro ma anche feroci critiche, il settimo capitolo si appresta a debuttare nelle sale: Jurassic World – La rinascita. Annunciato come un’ulteriore evoluzione per la saga, per noi è stata una cocente delusione.
Il film è ambientato cinque anni dopo gli eventi di Jurassic World – Il dominio. L’ecosistema terrestre si è rivelato inospitale per i dinosauri. I pochi esemplari rimasti vivono isolati in aree equatoriali, favorite dal clima, portando a un drastico calo dell’interesse pubblico. La chiave per un farmaco miracoloso per l’umanità risiede nelle tre creature più grandi: il Titanosaurus, il Mosasaurus e il Quetzalcoatlus. Un capitalista senza scrupoli, a capo di un’azienda farmaceutica, assolda un piccolo team di mercenari con l’obiettivo di localizzare questi animali ed estrarre campioni di DNA.
La sceneggiatura di David Koepp si discosta radicalmente dai temi portanti dei capitoli precedenti. Dimenticate le complesse questioni etiche legate alla clonazione, l’indomabile forza della natura (con annessa teoria del caos) o il primordiale fascino dei dinosauri, elementi ampiamente esplorati sia nella trilogia originale che in quella diretta da Colin Trevorrow.
Il fulcro narrativo di questa nuova avventura è la creazione di un farmaco capace di salvare milioni di vite. Un’idea che, a primo impatto, poteva risultare interessante, ma che viene sviluppata in modo superficiale e inconcludente. Ciò è dovuto, in particolare, alla chiara volontà di non prendersi mai sul serio, preferendo esplorare dinamiche più affini ai B-movie.
Purtroppo, il difetto più evidente di Jurassic World – La rinascita risiede proprio nella sceneggiatura di David Koepp, un nome che pure evoca l’originale Jurassic Park. Con un cast stellare del calibro di Scarlett Johansson, Mahershala Ali e Jonathan Bailey, ci si aspetterebbe una trama all’altezza e dei personaggi un po’ più che abbozzati. Invece, la Johansson si limita a interpretare una mercenaria da missioni top-secret (Zora Bennett). Ali è il “team-leader” dal cuore tenero, mentre Bailey, nel ruolo del “paleontologo da museo”, si riduce a snocciolare qualche informazione scientifica sui dinosauri. Rupert Friend veste i panni del rappresentante della “Big Pharma” (Martin Krebs), incarnando lo stereotipo del super cattivo che pensa solo al fatturato. A completare il quadro, una sfortunata famiglia di naufraghi viene inserita quasi a forza per aggiungere un tocco di melodramma.
È un vero peccato assistere a un tale spreco di talento in ruoli così piatti e mono-dimensionali. La trama sembra più una serie di espedienti narrativi per mostrare qualche dinosauro piuttosto che una storia organica, capace di immergerci nella natura incontaminata di Isla Nublar.
La presenza di Gareth Edwards alla regia, con un curriculum di tutto rispetto (Rogue One: A Star Wars Story), avrebbe dovuto garantire una vera e propria rivoluzione del franchise. Invece, il film non si discosta dalla saga World, proseguendo sulla stessa strada tortuosa e aggiungendo solo una gradevole spettacolarità colorita da un tono il più delle volte scanzonato. Certo, il successo della trilogia di Jurassic World rendeva impensabile una rivoluzione totale, ma speravamo almeno in un’evoluzione più matura, che purtroppo non abbiamo riscontrato. Salviamo un paio di scene action ad alta tensione, davvero notevoli, e alcuni dinosauri realizzati molto bene ma per il resto ci sentiamo un po’ presi in giro dalle promesse mancate.